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IL MONTE TOMBA

SALITA DA PEDEROBBA E DISCESA SU CAVASO DEL TOMBA

CARATTERISTICHE TECNICHE

Lunghezza: 14 km 

Dislivello : 630 m. di salita e 590 metri di discesa

Pendenza media: 8,4 %

Difficoltà: difficile

Tempi di percorrenza : 2 ore e mezza

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IL MONTE TOMBA – luogo di panorami, di confini e di guerra

Il Monte Tomba è una montagna delle prealpi trevigiane alta 868 metri.  La sua dorsale divide la provincia di Treviso dalla provincia di Belluno che sono messe in comunicazione attraverso la carrozzabile che passa per la cima. Rappresenta un contrafforte orientale del monte Grappa. Durante la prima guerra mondiale    ( I^ battaglia del Piave ) di qui passava il fronte del Grappa dopo la rotta di Caporetto e fu uno dei punti in cui la pressione nemica si fece più sentire. Gli Imperi Centrali si rivolgevano in particolare contro il triangolo ai cui vertici stavano le cime del Tomba, del Monfenèra e del Cornella.

TRIANGOLO CORNELLA - TOMBA - MONFENERA.J

La zona del Tomba fu sottoposta, inoltre, ad una violenta azione di artiglieria (18 novembre 1917), seguita da attacchi e contrattacchi accaniti che contesero il terreno metro per metro finché, in dicembre, gli Austro-Ungarici retrocedettero. Quando, nel giugno 1918, essi ripresero l'offensiva ( II^ battaglia del Piave ), il monte Tomba fu ancora uno dei baluardi più contesi finché, il 30 giugno di quell'anno, passò definitivamente in mano italiana.

 

Monfenera è un’anticima del Monte Grappa, tristemente noto per i molti caduti della Grande Guerra. L'altitudine massima è di 780 m s.l.m.  e si pone sull'estremo versante est del gruppo che attraverso il monte Tomba poi porta su sino al Montegrappa. I Marroni del Monfenera sono un prodotto agricolo tipico del Veneto, a cui è stato riconosciuto il marchio I.G.P. La loro coltivazione coinvolge 19 comuni della provincia di Treviso, compresi tra la pedemontana del Grappa e il Montello. La coltivazione del castagno è documentata nella zona sin dal 1351, sia come risorsa alimentare, sia come fonte di legname. Il prodotto contribuiva enormemente all'economia della zona, venendo esportato anche a Treviso e Venezia. La castanicoltura ebbe  però nei secoli alterne fortune sino alla metà dell'Ottocento quando, sotto il Regno Lombardo-Veneto, vennero censiti e catalogati i castagneti della zona a seconda della qualità e la classe dei frutti. Una vera ripresa si ebbe però dal 1980 circa, favorita anche dall'organizzazione di numerosi eventi quali la Mostra Mercato dei Marroni del Monfenera (a Pederobba dal 1970). Questi boschi erano tutelati dalla Serenissima sin dal 1300.

La scelta che ho fatto è quella di “ aggredire “ il Monte Tomba dal versante più dolce e cioè quello del Monfenera e quindi da Pederobba.  

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Iniziamo quindi a pedalare lasciando via Roma a Pederobba per iniziare la salita poco oltre casa Sanguinazzi seguendo le chiare indicazioni.

 

CASA SANGUINAZZI

Casa Sanguinazzi, è  una delle più belle e  caratteristiche  ville  a sette logge della zona. Dalla strada, da Via Roma ne vediamo solo la parte posteriore anticipata da un bel arco.

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Alla casa vi si accede dunque grazie a un caratteristico arco a tutto sesto per entrare nel “brolo”. Un prezioso esempio di casa con portico e loggia a metà tra l’architettura dotta ed i caratteri tipici dell’edilizia rurale. La data di costruzione è quella del 1685. Da ricordare poi il fatto che Vittorio Emanuele III nel 1917 qui pose il suo quartiere generale durante la prima guerra mondiale; e una lapide ricorda questo fatto.

 

 La strada inizia subito a salire con qualche tornante che ci affaticherà. Poi sale un po’ più dolcemente sul versante che dà sulla vallata del Piave.

salita e discesa dal Monte Tomba (1).JPG

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Si sale ancora...

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Abbiamo detto 5 km per arrivare al Monfenera, ma passati solo 1, 5 km dall’inizio della salita vi è una bella occasione per sciogliere le gambe: visitare la chiesetta di San Sebastiano.

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LA CHIESETTA DI SAN SEBASTIANO

SAN SEBASTIANO

Furono probabilmente le ripetute ondate di peste che colpirono la pedemontana del Grappa dopo il 1348 a costringere i pederobbesi a rivolgersi a San Sebastiano, un santo invocato per scampare alla terribile epidemia, la quale si ripresentò nel 1360 e un secolo dopo, nel 1466, decimando la popolazione. Nato nel 256  d.C., Sebastiano si recò a Roma come funzionario imperiale. La chiesa di S. Sebastiano fu eretta quindi, in seguito a queste continue epidemie di peste, probabilmente nel XV secolo. Il culto cresce e si alimenta di anno in anno, tanto che nel 1562 anche a Onigo una famiglia fa erigere un altare a San Sebastiano, mentre nella vicina pieve di Cavaso è conservata una pala di Bassano il Vecchio che raffigura la Madonna coi Santi Rocco e Sebastiano ai piedi dei quali sono imploranti uomini e donne infetti dal morbo pestilenziale. 

La presenza della chiesetta è attestata dal 1470 come luogo sacro di devozione, dove dimoravamo due romiti. Al piccolo oratorio, che godeva di una piccola rendita di tre campi, venne affidato un prete sul finire del ‘400. La cura e la devozione verso la piccola cappella crebbe dopo il Concilio di Trento, prova ne sia che qui si celebrava una messa ogni mese fin dal 1625 e, poco dopo, sul finire del secolo, la cappella venne annessa, assieme agli altri oratori, alla chiesa pievana di Pederobba. La pietà popolare verso S. Sebastiano, ormai invocato come un vero santo taumaturgo, non venne mai meno perché le epidemie di peste, purtroppo, si ripresentavano con intensità più o meno maggiore fino all’800. Il morbo infatti colpì nuovamente nel 1526, nel 1542, nel 1620 e ancora nel 1817 “furono invase queste terre da una nuova pestilenza, che tifo appellavasi”.

La bianca chiesetta, dal campaniletto rosso e aguzzo, come la definì il Paladini, fu però distrutta dagli intensi bombardamenti della Grande Guerra. Più granate colpirono l’edificio nell’inverno del ’17 allorché si scatenò una tempesta di fuoco sul piccolo colle di San Sebastiano. La miseria e la povertà che seguirono al periodo bellico non consentirono ai pederobbesi, emigrati in massa dalla loro terra, di ricostruire tutte le cappelle campestri. Prima di tutto dovevano essere ricostruite le case e la chiesa parrocchiale, poi si poteva pensare alle cappelle minori, fra le quali quella di S. Sebastiano. Pertanto ancora per diversi anni la chiesa rimane diroccata. La chiesetta attuale, che voleva rappresentare il tempio ai caduti di tutte le guerre, fu costruita oltre trent’anni fa. Progettata dall’arch. Giacomo Bresolin di Pederobba, la chiesa fu ricostruita con le offerte della popolazione pederobbese.

 

SAN SEBASTIANO  Soldato d’alto rango, viene perseguitato a Roma, perché cristiano, ai tempi di Diocleziano nel 300 circa. Ferito dalle frecce degli arcieri per ordine dell’imperatore, morì martire. Ed è l’arma del supplizio, le frecce che saettano veloci contro il suo corpo, a diventare simbolo della peste nell’Europa cristiana del tempo. L’iconografia lo ritrae nel martirio, bersagliato da frecce e proprio per le sue piaghe fu invocato come protettore degli appestati. 

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La strada si inerpica per 5 km sino a giungere allo scollinamento del Monfenera

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Immersa quasi costantemente nel verde dei boschi, prima di faggio e poi di pino, è una salita che non scherza, sebbene sia tra le più facili di tutti i versanti della zona del Monte Tomba. Viene denominata da molti come la salita del Monfenera proprio perchè sale lungo questa via, dove è molto elevata la presenza del castagno tipico della zona. Salendo proprio nel periodo della maturazione, possiamo trovare la strada invasa dal tipico “Marrone del Monfenera”. La strada sale subito ripida, ed i tornanti si susseguono sopratutto nel primo tratto. Sei tornanti quasi tutti in successione con delle buone pendenze che si aggirano tra l’8% e l’11%, con punte del 12%. Alcuni tratti più leggeri, ci lasciano la gamba girare più agilmente, aiutandoci a sentire il profumo del bosco, mentre un adeguata ombra ci ripara dal calore del sole. Il Monfenera, non dobbiamo dimenticarlo, è l’estrema propaggine est del massiccio del Montegrappa!

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Arrivati al Monfenera ci aspetta una sorpresa!! Ci pare di essere arrivati, ma al Tomba manca almeno 1 km che non è dei più facili. Quasi in prossimità del monte ci attendono alcuni ripidi strappi. Non sono molto lunghi, ma la pendenza ci costringe alla massima concentrazione per riuscire a superarli indenni senza mettere il piede a terra. Arriviamo  così finalmente in vetta al Monte Tomba.

La visione da qui è spettacolare! A sud la pianura veneta giù fino a Venezia, a nord lo sguardo è tutto sulle vette feltrine e l’agordino. La fatica vale davvero questa pedalata di almeno 6 km tutti in su!

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Da queste parti … terreno di guerra e scontri durissimi durante la prima guerra mondiale: ricordiamone qualche tratto.

 

Nel novembre 1917 il Monte Tomba fu scenario di infernali bombardamenti. La fanteria austro-tedesca riuscì ad occuparne la cresta, grazie all'impeto del giovane tenente Erwin Rommel che nel secondo conflitto mondiale combatterà in Africa meritandosi il soprannome di "Volpe del Deserto".

Un mese dopo il costone fu ripreso dai francesi, nostri alleati, i "Chasseurs des Alpes", a prezzo di grandi sacrifici. In un paesaggio di verdi distese sono ancora oggi ben distinguibili i crateri di scoppio delle bombe ed i resti dei trinceramenti.
 


LA CHIESETTA ALPINA DEL MONTE TOMBA

 

Superata la cima e iniziando il percorso che quindi ci porterà a scendere sulla Valcavasia, alla nostra sinistra ecco una particolare chiesetta alpina. La chiesa, consacrata dal vescovo di Treviso nel 1960, è dedicata ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, infatti proprio su queste cime gli austriaci vennero respinti dalla gloriosa IV armata detta "del Grappa". A suffragio delle vittime di quella tragedia ogni anno, sul Monte Tomba, si celebra una Messa solenne. All'interno della chiesa, di particolare pregio, la Madonna con Bambino, opera dello scultore Murer.

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Iniziamo quindi a scendere! La discesa inizia 100 metri più avanti sulla sinistra ed è ben evidenziata da cartelli che ne indicano chiaramente la direzione. Si tratta di una discesa di un certo impegno perché tortuosa e su una strada stretta. Dopo circa 5 km di curve e tornanti siamo oramai nei pressi della Valcavasia, quasi in località Pieve. Sulla nostra destra allora una bella ed isolata chiesetta: è Santa Cecilia

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LA CHIESETTA DI SANTA CECILIA

 L'oratorio attuale, dedicato a Santa Cecilia Vergine e Martire, venne fabbricato da Agostino Lorenzi nel 1677 e, all'epoca della sua erezione, confinava da tutte le parti con i beni della stessa famiglia del costruttore. In una relazione del 1789 leggiamo che l'oratorio attuale «guarda l'oriente, per liberarsi dalla soggezione di altro oratorio che per lo innanzi sotto il medesimo titolo trovavasi eretto nel mezzo a' suoi fondi di ragione dello stesso Comune  (di Pieve), circa cento pertiche lontano» (300 metri).

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Lasciata la chiesa di Santa Cecilia, scendiamo ancora a sud per circa 400 metri sino ad incrociare via San Pio X. Lì giriamo a sinistra e percorriamo la via per circa 400 metri. Siamo ora al centro di Pieve vicino a Vettorazzi. Ecco quindi la parrocchiale. Qui si chiude il nostro viaggio!

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LA CHIESA DI CAVASO DEL TOMBA 


 E’ nota in tutta la Pedemontana del Grappa come la «ciésa granda de Cavaso». Situata in prossimità della borgata dei Vettoràzzi, è dedicata alla Visitazione di Maria Vergine ad Elisabetta. Viene citata per la prima volta come «pieve di Santa Maria» nella bolla papale di Eugenio III (1152) ed insignita con il titolo di Arcipretale con decreto del 1756. In origine, la chiesa parrocchiale di Cavaso era ad un'unica navata e, in seguito ad un grave incendio, nel periodo dal 1663 al 16 gennaio 1683 si provvide a riedificarla e ad ampliarla a tre navate, separate da cinque paia di colonne a ordine toscano. La chiesa venne consacrata del 1724. Nel 1826 invece si collocarono le due colonne del presbiterio, si applicarono all'interno il marmorino ed i pregevoli stucchi del Pivetta da Valdobbiadene. Alla fine del secolo scorso e nel primo decennio di questo, la bella facciata preesistente in stile romanico a rosone centrale e a tre finestre semicircolari, venne sostituita con un nuovo frontespizio di stile neoclassico settecentesco, ornato a sua volta da cinque statue dello scultore Francesco Sartor di Cavaso.  Con la guerra 1915-1918, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, quando la prima linea correva dal Grappa, al Salaról, al Pallón, al Tomba, alla Monfenèra, al Piave, la chiesa arcipretale di Cavaso subì gravissimi danni. Il tetto, sostenuto da un soffitto a capriata romanica, venne praticamente distrutto, così come crollò tutta la parte a settentrione e circa un terzo della facciata. L’altare maggiore, eretto in legno nel 1646, fu ricostruito in pietra nel XVIII secolo dai fratelli Sorgi di Venezia, staccato dal muro di fondo dell'abside, quindi con disposizione «alla romana».

Del 1691 sono invece il tabernacolo a marmi policromi ed il parapetto della mensa, opera dello scultore bassanese Bernardo Tabacchi. Prima della guerra 1915-1918 vi erano ancora due statue dello stesso artista, poste ai margini dell'altar maggiore e dedicate rispettivamente a Maria Vergine e a Santa Elisabetta, cioè al titolo della pieve stessa: la «Visitazione». Danneggiate dagli eventi bellici, le sculture vennero poste provvisoriamente nella piazzetta a mezzogiorno.

 

La pala dell'altar maggiore, acquistata assieme ad altri oggetti sacri e artistici in epoca napoleonica, è opera del pittore fiammingo Nicolas Regnier e rappresenta la Madonna in visita ad Elisabetta, episodio cui assistono anche i Santi Giuseppe e Zaccaria Ma il dipinto più antico ed importante è la tavola terminata l'11 febbraio 1541 dal pittore Francesco Millàn da Serravalle. Il dipinto è posto sull'altare dedicato a San Giovanni Battista e in esso vi è raffigurata la Madonna con Bambino, circondata da sei Santi, tra i quali San Liberale con lo stendardo di Treviso, San Giovanni Battista e i Santi Pietro e Paolo. Notevoli anche i  dipinti di Jacopo da Ponte (Bassano il Vecchio). Il primo, sull'altare di fondo di sinistra, con la Madonna del Rosario, Santi e donatori, realizzato nel 1587 e consegnato il giorno di Natale dello stesso anno. La seconda pala su tavola, assieme ai due quadretti del 1580, un tempo era posta sull'altare di San Rocco (di fondo a destra) in cui il Santo appariva circondato da appestati, mentre il Padre Eterno appare in atteggiamento di soccorritore.

UN PO' DI FOTO

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